I bambini fino ad “una certa età” devono giocare, devono divertirsi.

Bene, qualcuno potrebbe gentilmente spiegarmi dove è il confine tra il “gioco” e il “non gioco”? o tra il “mi diverto” e il “non mi diverto”? e soprattutto quella “certa età”.. quale età sarebbe?

Troppo spesso ho sentito teorizzare tecnici, responsabili di associazioni e federazioni, allenatori, genitori sulla differenza tra “agonismo” e “non agonismo”. Treccani mi suggerisce: Agonismo, particolare impegno di un atleta durante lo svolgimento di una gara”, quindi mi viene un dubbio, allora fino a quella “certa età” è sbagliato impegnarsi o insegnare ad impegnarsi durante una gara? O forse è la parola GARA che disturba perché gara presuppone un vincitore e un vinto e forse è proprio quel non vincere che spesso suona male.

Ma non è forse la vita stessa una gara continua? Ogni giorno della nostra vita, a qualsiasi età, noi siamo in gara, ognuno di noi ha delle piccole o grandi sfide quotidiane da affrontare; il lavoro, la scuola, il rapporto coi colleghi, coi compagni, gli amici. In questi casi come la mettiamo con l’agonismo? Fino a quella “certa età” sarebbe sbagliato impegnarsi in queste sfide per superarle? La scuola stessa credo insegni fin dai primi passi valori prossimi al misurarsi con qualcuno o qualcosa; l’interrogazione o la verifica non sono forse una gara con se stessi, col proprio sapere, con la propria preparazione?

Torniamo quindi al punto fondamentale di questa mia riflessione: è giusto insegnare ai bambini la competizione nello sport?

Provate ad osservarli mentre “giocano” e “si divertono” ai giardinetti: che sia nascondino, strega tocca colore o una partita ai videogames non esiste gioco in cui i bambini non si mettano in competizione tra di loro. E tra di loro sanno benissimo riconoscere quali sono le proprietà di ognuno, sanno bene chi è forte o chi è  scarso, chi vince e chi perde e soprattutto chi lo fa in maniera leale o no.

Quindi mi chiedo se è giusto fino a quella “certa età” far passare il messaggio che nello sport tutti i bambini sono uguali, tutti hanno le stesse capacità, tutti lo stesso talento. Oppure è invece più giusto insegnare loro, dando a tutti certamente le stesse possibilità di misurarsi, che lo sport è per sua natura competizione e agonismo, dove uno vince e l’altro perde, e insegnare loro ad accettare e gestire correttamente sia la vittoria sia la sconfitta, poiché entrambe hanno una forte componente pedagogica.

Un bimbo che perde non si diverte! Certamente no, è vero, ma è importante insegnargli a cadere e poi rialzarsi, ad avere degli obiettivi, dei modelli da imitare, dei limiti da accettare prima ancora di provare con tutte le proprie forze a superarli.

E allora il mio suggerimento è questo: anche se non hanno ancora quella “certa età” lasciamoli competere, lasciamoli gareggiare, insegniamo loro le regole di una competizione onesta, leale, sincera, aiutiamoli a capire e superare il momento della sconfitta e quando vincono diamo loro il giusto premio fosse una classifica da scalare, una coppa da conquistare, una medaglia da ricordare, sono convinto che ce ne saranno grati quando arriveranno …..  ad una certa età!!

 

Daniele Carrea

Istruttore di calcio a 5

settore giovanile e scolastico